Lo sforzo inefficace è determinato da un’attivazione dei muscoli inspiratori che non è sufficiente ad attivare il trigger inspiratorio (vedi anche il post del 08/05/2012 e quello del 24/09/2017).
Vi è consenso nel ritenere che i criteri diagnostici dello sforzo inefficace sulle curve di pressione e flusso sia la contemporanea presenza di due segni: 1) riduzione della pressione delle vie aeree (figura 1, traccia in alto); 2) riduzione del flusso espiratorio (che si avvicina alla linea dello zero) (figura 1, traccia in basso), a cui non segue un’inspirazione assistita (1,2).
Una piccola precisazione, prima di affrontare il caso di oggi. A mio parere questi criteri diagnostici “ufficiali” sarebbero da rivedere: il primo dei due criteri (la riduzione di pressione delle vie aeree) non è infatti indispensabile per identificare uno sforzo inefficace. L’unico segno necessario è la riduzione del flusso espiratorio, in assenza di un concomitante aumento della pressione delle vie aeree.
Vediamo ad esempio la figura 2: c’è sicuramente uno sforzo inefficace, come dimostrato dalla depolarizzazione del diaframma in fase espiratoria (traccia in basso), a cui non segue l’attivazione del trigger inspiratorio. Durante la contrazione diaframmatica (tra le due righe azzurre tratteggiate verticali), il flusso (traccia verde) si riduce durante l’espirazione (rispetto al decadimento esponenziale passivo che potremmo ipotizzare, curva bianca tratteggiata), fino a toccare la linea dello zero. La pressione delle vie aeree non si riduce, rimanendo stabile sul valore della PEEP (linea orizzontale tratteggiata bianca, traccia in alto). Questo esempio dimostra che uno sforzo inefficace può verificarsi anche quando la pressione delle vie aeree rimane costante.
Nel mondo ideale, con ventilatori meccanici “perfetti”, la pressione delle vie aeree non dovrebbe ridursi mai durante uno sforzo inefficace. Infatti il compito del ventilatore meccanico durante l’espirazione dovrebbe essere quello di mantenere il livello di PEEP, indipendentemente dall’attività del paziente. Però viviamo in un mondo reale, con ventilari meccanici “imperfetti”, che riescono a mantenere la PEEP stabile solo se l’attività dei muscoli respiratori è di modesta entità. Per questo motivo spesso (ma non sempre!) la pressione delle vie aeree si riduce nello sforzo inefficace, per l’incapacità del ventilatore meccanico di adeguarsi in maniera istantanea, uguale e contraria, alle pertubazioni pressorie indotte dal paziente.
Un’ultima considerazione sulla figura 2: avrai visto sicuramente le altre due asincronie…
Ed ora entriamo nel merito del problema di questo post. Esaminiamo il monitoraggio in figura 3: sono tre sforzi inefficaci quelli che vediamo?
Nella figura 4 ti propongo l’esercizio di analizzare la figura 3 con il metodo RESPIRE (vedi post del 20/08/2017 e del 24/09/2017), applicato alla sola fase espiratoria (se hai fretta o non ti interessa, puoi passare direttamente alla visione della figura 5). Dopo aver riconosciuto (R) le curve di pressione e flusso, è stata identificata l’espirazione E. Bisogna quindi supporre (S) come dovrebbero essere le curve se il paziente fosse passivo in espirazione: la pressione delle vie aeree dovrebbe essere sul valore di PEEP (riga tratteggiata orizzontale sulla curva di pressione) ed il flusso espiratorio dovrebbe essere decrescente. Nella figura si vede che la parte finale del flusso è decrescente come nei pazienti passivi. Quindi prolungo fino all’inizio dell’espirazione questa curva di flusso espiratorio (curva tratteggiata bianca). Metto il paziente (P) tra le curve di pressione e flusso e guardo se queste gli si avvicinano (I, attività inspiratoria) o allontanano (E, attività espiratoria) rispetto alle tracce teoriche. Vediamo indiscutibilmente che quando il flusso espiratorio si avvicina allo zero, la pressione delle vie aeree scende (frecce rosse). Quindi concludiamo che c’è un’attività inspiratoria nella fase espiratoria, non seguita dall’attivazione del trigger. E’ uno sforzo inefficace.
Guardiamo ora la figura 5: si nota la ripetuta attivazione di due trigger inspiratori ravvicinati, separati da una brevissima fase espiratoria. Questa asincronia è definita doppio trigger (vedi post del 26/12/2014), ed il suo criterio diagnostico sulla curva di flusso è dato dalla presenza di due trigger inspiratori separati da una espirazione di durata inferiore alla metà del tempo inspiratorio medio (1,2).
Nella figura 3 abbiamo 3 sforzi inefficaci, nella figura 5 invece vi sono 3 doppi trigger. Due asincronie che possono richiedere trattamenti opposti: nel paziente con sforzo inefficace può essere indicata la riduzione del supporto inspiratorio (3), mentre l’aumento del supporto inspiratorio può essere appropriato in quello con doppio trigger (4).
Le figure 3 e 5 sono state prese dal medesimo paziente, ad un solo minuto di distanza l’una dall’altra e con la stessa, identica impostazione del ventilatore. A questo paziente aumentiamo o riduciamo il supporto inspiratorio?
Risolveremo facilmente il problema se ragioniamo per capire l’interazione paziente-ventilatore piuttosto che per classificare le asincronie.
Nel caso proposto, le due asincronie sono la manifestazione di un identico problema: il ciclaggio anticipato secondario ad un supporto inspiratorio insufficiente per entità e durata. Analizziamo il significato di questa affermazione mettendo a confronto il monitoraggio della figura 3 (a destra) e della figura 5 (a sinistra) (figura 6).
Figura 6
Rispetto alle precedenti immagini, compare in aggiunta una curva bianca sovrapposta alla traccia della pressione delle vie aeree: è una traccia generata dall’attività elettrica diaframmatica. La contrazione del diaframma (e quindi l’inspirazione del paziente) avviene durante la salita della curva bianca, cioè l’intervallo compreso tra le due linee tratteggiate verticali azzurre. Sia nello sforzo inefficace che nel doppio trigger vediamo che il flusso inspiratorio erogato dal ventilatore termina (la linea tratteggiata verticale rossa) prima che sia finita l’attività inspiratoria del paziente: questo è il ciclaggio anticipato, cioè il passaggio dall’inspirazione all’espirazione (definito ciclaggio) che avviene in anticipo rispetto alla conclusione dell’inspirazione del paziente. In altre parole, il paziente continua ad inspirare anche quando il ventilatore ha terminato la propria fase inspiratoria.
La persistente attività inspiratoria nella prima fase della espirazione determina il richiamo del flusso verso la linea dello zero. Nello sforzo inefficace l’intensità della inspirazione del paziente non è sufficiente a triggerare nuovamente il ventilatore, mentre nel doppio trigger sì. Nella figura 6 la maggior intensità dell’inspirazione del paziente nel doppio trigger è confermata dalla maggior ampiezza della curva di depolarizzazione diaframmatica rispetto allo sforzo inefficace.
Per risolvere entrambe le asincronie viste in precedenza dobbiamo quindi eliminare il ciclaggio anticipato, che ne è la causa, prolungando la durata della fase inspiratoria del ventilatore. In questo caso la soluzione migliore è l’aumento del supporto inspiratorio. Questo determinerebbe infatti un maggior picco di flusso inspiratorio e quindi un più tardivo raggiungimento del trigger espiratorio (vedi post del 27/12/2017). La riduzione del trigger espiratorio (un’altra possibilità) non sarebbe sufficiente in questo caso, visto che il prolungamento del decadimento del flusso inspiratorio (le linee tratteggiate arancioni indicate dalle frecce) incrocia la linea di zero flusso comunque prima della fine della inspirazione neurale.
Il doppio trigger è una tipica espressione del ciclaggio anticipato, mentre il “classico” sforzo inefficace è espressione di un carico soglia eccessivo per la forza del paziente. E’ importante riconoscere i casi in cui sforzo inefficace è causato dal ciclaggio anticipato e non dal carico soglia, per evitare di attuare un trattamento opposto a quello corretto.
Lo sforzo inefficace è dovuto al ciclaggio anticipato, e quindi va trattato come doppio trigger, se, qualora efficace, determinasse un doppio trigger. In questo caso infatti lo sforzo inefficace è in realtà un doppio trigger inefficace. Quando lo sforzo inefficace fa parte di un doppio trigger, il problema alla radice è il doppio trigger; se non ci fosse il doppio trigger non ci sarebbe nemmeno lo sforzo inefficace.
Un’immagine finale per sintetizzare il concetto. Lascio a te il commento:
Riassumiamo il contenuto del post in tre punti:
1) da un punto di vista clinico, è più utile capire l’interazione paziente-ventilatore che classificare le asincronie;
2) il doppio trigger può camuffarsi da sforzo inefficace se il secondo trigger è inefficace; il problema principale è però il doppio trigger;
3) in questi casi il trattamento deve essere diretto alla causa di entrambe le asincronie: il ciclaggio anticipato. Risolto quello, scompariranno sia lo sforzo inefficace che il doppio trigger.
Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
Bibliografia.
1. Colombo D, Cammarota G, Alemani M, et al.: Efficacy of ventilator waveforms observation in detecting patient–ventilator asynchrony: Critical Care Medicine 2011; 39:2452–2457
2. Thille AW, Rodriguez P, Cabello B, et al.: Patient-ventilator asynchrony during assisted mechanical ventilation. Intensive Care Medicine 2006; 32:1515–1522
3. Thille AW, Cabello B, Galia F, et al.: Reduction of patient-ventilator asynchrony by reducing tidal volume during pressure-support ventilation. Intensive Care Med 2008; 34:1477–1486
4. Gilstrap D, MacIntyre N: Patient–Ventilator Interactions. Implications for Clinical Management. American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine 2013; 188:1058–1068
Interessantissimo questo post, mi ha aiutato a comprendere il paziente (gravissima ARDS covid "cronico" in VM da più di due mesi) che questa notte non riuscivo a ventilare bene. Sospettavo questo problema, anche se non l'ho risolto. Infatti effettivamente la riduzione del trigger espiratorio non è stata sufficiente, e il supporto era già elevato, con elevata PEEP, e un ulteriore incremento non era praticabile per via della ridotta compliance con già elevate pressioni di lavoro. Avendo partecipato a una edizione di Ventilab, mi permetto di immaginare il commento successivo: probabilmente la ventilazione di supporto non era più adeguata in quella fase per quel paziente, essendo forse più ragionevole "arretrare" di nuovo a una ventilazione controllata protettiva a fronte di un nuovo peggioramento. E questo probabilmente avrei fatto, se il deterioramento generale (shock settico e MOF recidiva) non avesse purtroppo determinato un destino sfavorevole per il paziente. Moltissime grazie, per la condivisione di questa grande conoscenza, e per l'invito costante a ragionare!! Claudia, Bologna
RispondiEliminaGrazie del commento e complimenti!
EliminaConstato con grande piacere che tutto il ragionamento che fai segue una logica chiara, cosa ben difficile da verificare quando si parla di monitoraggio ventilatorio applicato alla clinica. Se questo è un po' anche merito dei corsi di Ventilab, è uno stimolo ad andare certamente avanti. Sperando che si riesca a ripendere la normale attività didattica.