Resistenza vascolare sistemica (systemic vascular resistance)

20 mar 2025

La resistenza vascolare sistemica (Systemic Vascular Resistance, SVR) è un dato tradizionalmente inserito nella valutazione emodinamica dei pazienti critici. Oggi cerchiamo di capirne insieme il significato fisiopatologico e l’utilizzo clinico. 

Prendiamo spunto dai dati di Gianni, un anziano all’ennesimo ricovero per scompenso cardiaco. Con l’infusione di noradrenalina (0.2  $ mcg \cdot kg^{-1} \cdot min^{-1}$) i dati sono questi: pressione arteriosa 110/55 mmHg (pressione arteriosa media 78 mmHg), frequenza cardiaca 80/min,  pressione venosa centrale 8 mmHg, portata cardiaca 2.3 l/min (indice cardiaco 1.38  $ l \cdot min^{-1} \cdot m^2$). 

Quale è il valore della sua resistenza vascolare sistemica? Che significato fisiopatologico e clinico ha? Può esserci utile per curarlo? Vedremo la risposta a queste domande nel corso del post.

La resistenza vascolare sistemica

In condizioni di flusso costante (cioè senza accelerazioni e decelerazioni) e laminare in un tubo rigido con sezione circolare, l’equazione di Poiseuille descrive bene la relazione tra flusso ($\dot{Q}$) e differenza di pressione ($\Delta P$) agli estremi del tubo:

$$ \dot{Q} = \cfrac {\Delta P} {R} ~~~~~(eq. 1)$$

in cui R rappresenta la resistenza, cioè l’insieme degli elementi che si oppongono al flusso.

Nelle suddette condizioni, la resistenza è funzione di lunghezza l e raggio r del condotto e della viscosità ($ \eta$) del fluido che vi scorre:

$$ R = \cfrac {8 \eta l} {\pi r^4}~~~~~(eq. 2)$$

Mettendo insieme queste due equazioni vediamo che il flusso è direttamente proporzionale alla differenza di pressione, al raggio del condotto alla quarta potenza ed inversamente proporzionale a lunghezza del tubo e viscosità del fluido:

$$ \dot{Q} = \cfrac {\Delta P \cdot \pi \cdot r^4} {8 \cdot \eta \cdot l}~~~~~(eq. 3)$$

La circolazione sistemica inizia con l’uscita del sangue dal ventricolo sinistro e termina con il rientro del sangue nell’atrio destro. Ipotizziamo molto semplicisticamente che il flusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio destro sia costante e laminare, e che il collegamento tra ventricolo ed atrio sia formato da un tubo rigido a sezione circolare (figura 1). 

Figura 1

In queste condizioni possiamo applicare l’equazione di Poiseuille. Il flusso dal ventricolo sinistro all’atrio destro è la portata cardiaca (cardiac output, CO), il $\Delta P$ è la differenza tra la pressione arteriosa media (PAM), stima della pressione in aorta, e la pressione venosa centrale (PVC), stima della pressione in atrio destro, e la resistenza è la resistenza vascolare sistemica SVR:

$$ CO = \cfrac {PAM - PVC} {SVR}~~~~~(eq. 4)$$

E’ evidente che non possiamo conoscere la lunghezza e il raggio dei vasi che congiungono il ventricolo sinistro all’atrio destro. Questo significa che non è possibile calcolare direttamente la SVR, e successivamente ottenere la portata cardiaca da SVR e $\Delta P$, come suggerisce l’equazione precedente.

Se vogliamo conoscere il valore della SVR, essa può essere calcolata indirettamente dalle due variabili fisiologiche che possiamo misurare, cioè $\Delta P$ e portata cardiaca:

$$ SVR = \cfrac {PAM -PVC}{CO}~~~~~(eq. 5)$$

La SVR derivata dall’equazione di Poiseuille dovrebbe teoricamente dare informazioni essenzialmente sul diametro del letto vascolare: una piccola variazione di calibro darebbe una grande variazione di SVR, per la sua dipendenza dalla quarta potenza del raggio. A corollario, la SVR dovrebbe rimanere costante in assenza di variazioni di sezione del letto vascolare (se la viscosità rimane costante).

Ovviamente questo ragionamento è valido solo se l’equazione di Poiseuille è applicabile al sistema vascolare periferico.


Calcolo della SVR, unità di misura e valori normali

Calcoliamo la SVR di Gianni dai dati che abbiamo dato in precedenza:

$$SVR = \cfrac {78~mmHg~–~8~mmHg}{2.3~l/min} = 30.4~mmHg \cdot l^{-1} \cdot min$$

Per comprendere il significato di un numero bisogna capire bene il significato della sua unità di misura. Il senso di questa unità di misura della SVR indica che è necessaria una differenza tra PAM e PVC di circa 30 mmHg per generare 1 l/min di portata cardiaca. Questa unità di misura è nota anche come Wood, dal nome di Paul Wood, un grande cardiologo (è suo il ritratto che apre il post) che già a metà del secolo scorso propose una classificazione dell’ipertensione polmonare in linea con le conoscenze attuali.(1) Alla fine del post approfondiremo anche la conoscenza del dottor Wood.

Sebbene il Wood sia facile da calcolare e da capire, in emodinamica la SVR è misurata con una misteriosa unità di misura, il $dyne \cdot s \cdot cm^{-5}$, che deriva dalla misura della pressione in $dyne/cm^2$ e del flusso in $m^3/s$. Moltiplicando i Wood per 80 si ottiene la misura della SVR in $dyne \cdot s \cdot cm^{-5}$:

$$SVR = \cfrac {(78 -8)~mmHg} {2.3~L/min} \cdot 80 = 2435~dyne \cdot s \cdot cm^{-5}$$

E’ un valore normale, alto o basso?  Sono proposti molti range di normalità, anche piuttosto diversi tra loro, forse quello più frequente è 800-1200 $dyne \cdot s \cdot cm^{-5}$. Questo range è davvero strano, se consideriamo che un soggetto sano (pressione arteriosa 120/80, che corrisponde ad una PAM di circa 95 mmHg, PVC 5 mmHg, portata cardiaca 5 l/min) ha una SVR di 1440 $dyne \cdot s \cdot cm^{-5}$, valore perlatro in linea con quelli medi effettivamente rilevati nei soggetti adulti sani. (2) Probabilmente un range di normalità più ragionevole potrebbe essere tra 1000 e 1800  $dyne \cdot s \cdot cm^{-5}$, ma questa è una mia personale opinione.

Tornando a Gianni, qualunque range di normalità si consideri, appare evidente che la sua SVR è decisamente elevata. Ci aiuta questo a capire la causa del suo shock e scegliere la terapia migliore per gestirlo? Questo valore di SVR significa che il suo problema è una vasocostrizione periferica e dovremmo quindi somministrare un vasodilatatore per far tornarne tutto alla normalità? Gianni ha un postcarico elevato? Alla fine del post avremo gli elementi per rispondere a queste domande.


L’illusione della resistenza vascolare sistemica

Tutto quanto abbiamo visto finora sulla SVR è come il trucco del prestigiatore che sega in due una donna: sembra tutto convincente se ci fermiamo all’apparenza, ma ragionando si può capire che siamo ingannati da un’illusione.

Di seguito alcune riflessioni che ci aiutano a capire perchè il calcolo della SVR sia illusorio e di scarso valore clinico.

L’equazione di Poiseuille non è valida per il sistema vascolare

Le considerazione che abbiamo fatto nel paragrafo precedente sulle resistenze vascolari avevano una premessa fondamentale: “che il flusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio destro sia costante e laminare, e che il collegamento tra ventricolo ed atrio sia formato da un tubo rigido a sezione circolare“. Il problema è che nessuna di queste assunzioni è vera nella fisiologia umana: il sistema vascolare sistemico è infatti composto da vasi non rigidi, non sempre a sezione circolare, con flusso pulsatile e turbolento

Analizziamo come la sola presenza di flusso turbolento sia già di per sé sufficiente a inficiare la validità della equazione di Poiseuille. In un tubo di vetro (quindi rigido) di 150 cm di lunghezza e 5 mm di diametro sono stati fatti scorrere diversi flussi di acqua fino ad un massimo di 1 l/min e per ciascun flusso il $\Delta P$ teorico è stato calcolato con l'equazione di Poiseuille:

$$ \Delta P = Q \cdot \cfrac {8 \eta l} {\pi r^4}~~~~~(eq. 6)$$

(figura 2, linea nera continua) e il $\Delta P$ effettivo è stato misurato come differenza tra le pressioni agli estremi del condotto (figura 2, punti neri).(3)  

Figura 2

Finchè il flusso è basso (ad esempio nel punto 1 in figura 2), il $\Delta P$ teorico e quello effettivo coincidono. Nel punto 1 la resistenza $R_1$, calcolata come rapporto tra $\Delta P$ e flusso, è 11.4 $mmHg \cdot l^{-1} \cdot min$ (che corrispondono a 912 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $). Questo significa che è necessaria una differenza di pressione di 11.4 mmHg per generare 1 l/min di flusso. A questo valore il flusso è completamente laminare.

Quando il flusso raggiunge il valore di circa 0.5 L/s, nel modello sperimentale esso inizia ad essere turbolento. Da questo punto in avanti il $\Delta P$ misurato diventa sempre più differente rispetto a quello calcolato con l’equazione di Poiseuille. Al flusso di 0.8 l/min, il $\Delta P$ previsto dalla equazione di Poiseuille sarebbe 9.1 mmHg (punto 2 nella figura 2), che diviso per il flusso ribadirebbe la resistenza di 11.4 $mmHg \cdot l^{-1} \cdot min$: infatti per l’equazione di Poiseuille se le dimensioni del condotto e la viscosità non cambiano, la resistenza è costante. In realtà il $\Delta P$ misurato è 21.3 mmHg (punto 3, fig. 2), che fa calcolare una resistenza $R_3$ di 26.6 $mmHg \cdot l^{-1} \cdot min$. La resistenza effettiva è più che raddoppiata dal punto 1 al punto 2, senza che vi sia stata alcuna variazione di calibro del vaso: l’equazione di Poiseuille evidentemente non è più valida per la sola comparsa delle turbolenze nel flusso.

Nell’apparato cardiovascolare il flusso è normalmente turbolento, pertanto il calcolo della SVR è un indicatore inadeguato per valutare le variazioni di calibro dei vasi sanguigni (e quindi del tono vascolare).

L’inappropriatezza dell’applicazione dell’equazione di Poiseuille per il calcolo della SVR è ulteriormente accresciuta dal fatto che i vasi sanguigni sono elastici e non rigidi e che il flusso è pulsatile e non costante.


Le parti del sistema vascolare sistemico non si sommano

Il sistema vascolare tra ventricolo sinistro e atrio destro è in realtà formato da due sistemi circolatori distinti, quello arterioso e quello venoso, che hanno caratteristiche capacitive e resistive ben diverse e che non sono in continuità emodinamica tra di loro.

Si ritiene che esista una pressione critica di chiusura ($ P_{crit}$) dei vasi a valle del circolo arterioso, al di sotto della quale non vi è flusso tra sistema arterioso e venoso. Questo fenomeno viene spiegato con l’analogia della diga, nella quale il flusso sopra il bordo della diga si annulla per qualsiasi livello di acqua inferiore all’altezza della diga stessa. A valle di questa diga concettuale, il flusso nel versante venoso è generato dalla differenza di pressione tra la pressione sistemica media ($ P_{sm} $) e la PVC, secondo la classica fisiologia del ritorno venoso proposta da Guyton. (4) In vivo $ P_{crit}$ è stata stimata tra 20 e 50 mmHg.(5–8)

Possiamo quindi ridisegnare il modello dell’apparato cardiovascolare in questo modo:

Figura 3

Se ragioniamo con questo modello, vediamo che in realtà esistono due resistenze, una arteriosa ($ R_{art} $) ed una venosa ($ R_{ven} $). (9) $ R_{art} $ ha come differenza di pressione $ (PAM - P_{crit}) $, mentre il $\Delta P $ di $ R_{ven} $ è $ (P_{ms} - PVC) $. Dalla figura 4 puoi facilmente renderti conto che la somma di queste due differenze di pressione è inferiore al $\Delta P $ della SVR, cioè $ (PAM-PVC) $. Facendo i calcoli per un'ipotetico paziente con 5 l/min di portata cardiaca, puoi anche constatare che la somma di $ R_{art} $ e $ R_{ven} $ è ovviamente inferiore alla SVR.

Figura 4

Ho accennato a questo concetto, sicuramente troppo complesso per poter essere trattato in modo così sintetico, solo per far comprendere che l’esistenza di un condotto unico e continuo che va dal ventricolo sinistro all’atrio destro è probabilmente un’altra illusione sulla strada della SVR. La realtà è molto più complessa e sarebbe più appropriato ragionare, anche se solo concettualmente, in maniera separata di resistenza arteriosa e resistenza venosa.


La SVR non ha un valore clinico

Vediamo ora cosa aggiunge il valore della SVR nella gestione clinica.

Per conoscere la SVR si deve avere una misura della portata cardiaca: la sua conoscenza avviene pertanto quando è già in atto un monitoraggio emodinamico avanzato che fornisce molte informazioni. Cosa aggiunge a queste la SVR? Dobbiamo considerare che il numeratore della SVR ($ \Delta P $) solitamente varia molto meno del denominatore ($ CO $): ci possono essere grandi variazioni di $CO$ associate a ridotte variazioni di $ \Delta P $. Pertanto il valore della SVR dipende essenzialmente dal CO: tutti gli shock a bassa portata (cardiogeno, ipovolemico, ostruttivo) hanno alta SVR, mentre hanno bassa SVR tutti gli shock ad alta portata (settico, anafilattico, neurogeno).

Analizziamo l’utilità della SVR per la diagnosi o per il trattamento di alcuni ipotetici pazienti ed infine del nostro Gianni. Questi scenari affrontano la maggior parte delle alterazioni cardiovascolari gravi che si possono trovare nel paziente critici. I primi due scenari sono a bassa SVR, gli altri 4 ad alta SVR.

- caso 1, shock settico, SVR bassa (595 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $): pressione arteriosa 85/50 mmHg (PAM 66 mmHg), frequenza cardiaca 95/min, PVC 6 mmHg, portata cardiaca 8 l/min, diuresi 1 $ml \cdot kg^{-1} \cdot h$, lattato arterioso 1.6 mmol/l. In questo caso vi è una PAM accettabile associata a buoni indici di perfusione tissutale. E’ un paziente che non necessita di variare il supporto emodinamico. Anche se la SVR è inferiore al normale, non è per questo da “normalizzare”. Conclusione: non si utilizza la SVR per guidare il trattamento o avere informazioni emodinamicamente utili.

- caso 2, shock settico, SVR bassa (592 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $): pressione arteriosa 70/40 mmHg (PAM 53 mmHg), frequenza cardiaca 95/min, PVC 6 mmHg, portata cardiaca 6.4 l/min, diuresi 0.3 ml/kg/h, lattato arterioso 3.9 mmol/L. In questo caso, nonostante l’alta portata, vi è una ipotensione associata a segni di ipoperfusione tissutale. Come primo passo è indicato iniziare o aumentare il vasocostrittore per migliorare le pressioni di perfusione. L’obiettivo del vasocostrittore non è un la normalizzazione della SVR, ma il ristabilimento di una pressione arteriosa sufficiente a ridurre i segni di perfusione tissutale (il primo obiettivo potrebbe essere rivalutare il quadro clinico dopo aver ottenuto una PAM tra 65 e 75 mmHg). Conclusione: non si utilizza la SVR per guidare il trattamento o avere informazioni emodinamicamente utili.

- caso 3, crisi ipertensiva, SVR alta (2528 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $): la pressione arteriosa è 220/110 mmHg (PAM 157 mmHg), la frequenza cardiaca 80/min, la PVC 15 mmHg e la portata cardiaca 4.49 l/min.  Questa è una condizione la cui diagnosi si fa esclusivamente con la misurazione della pressione arteriosa ed il trattamento con vasodilatatori è modulato sulla risposta pressoria. Nella pratica clinica solitamente non si misura la portata cardiaca e quindi non possiamo valutare la SVR. Conclusione: non si utilizza la SVR per guidare il trattamento o avere informazioni emodinamicamente utili.

- caso 4, shock emorragico, SVR alta (2529 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $): pressione arteriosa 110/60 mmHg (PAM 84 mmHg), frequenza cardiaca 120/min, PVC 5 mmHg, portata cardiaca 2.49 l/min. Il problema è la bassa portata cardiaca secondaria a ipovolemia, l’ipertono simpatico (autogeno e/o esogeno da somministrazione di amine) è una risposta compensatoria fondamentale per la sopravvivenza e deve essere preservata in attesa della correzione dell’ipovolemia. La terapia appropriata è la somministrazione di volume intravascolare. Se si somministrasse un vasodilatatore per ridurre l’elevata SVR, l’effetto potrebbe essere letale. Conclusione: non si utilizza la SVR per guidare il trattamento o avere informazioni emodinamicamente utili.

- caso 5, bradicardia, SVR alta (2534 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $): pressione arteriosa 125/60 mmHg (PAM 84 mmHg), frequenza cardiaca 35/min, PVC 5 mmHg, portata cardiaca 2.5 l/min. In questo caso la bradicardia è la causa della bassa portata cardiaca e la terapia passa attraverso il suo trattamento, farmacologico o con elettrostimolazione. Anche in questo caso, come per il terzo, normalmente non viene monitorata la portata cardiaca e di conseguenza non si conosce il valore di SVR. Conclusione: non si utilizza la SVR per guidare il trattamento o avere informazioni emodinamicamente utili.

- Gianni, shock cardiogeno (?), SVR alta (2435 $ dyne \cdot s \cdot cm^{-5} $): pressione arteriosa 110/55 mmHg (PAM 78 mmHg), frequenza cardiaca 80/min, PVC 8 mmHg, portata cardiaca 2.3 l/min. Gianni ha uno shock, che dal punto di vista clinico ed ecocardiografico, è cardiogeno. L’elevata SVR è legata alla grave bassa portata. Concettualmente potrebbe in questi casi anche essere presa in considerazione una terapia vasodilatatrice unita al supporto inotropo. La terapia però non sarebbe mirata alla normalizzazione della SVR, ma alla risposta in termini di portata cardiaca. Nel caso specifico di Gianni il monitoraggio emodinamico è stato fatto con il catetere arterioso polmonare di Swan-Ganz che ha aggiunto un dato molto importante in un paziente con shock cardiogeno: la pressione di incuneamento in arteria polmonare (Pulmonary Capillary Wedge Pressure), che nel nostro caso era 9 mmHg. Questo valore è sicuramente basso in un paziente con grave disfunzione ventricolare sinistra durante la ventilazione meccanica. Probabilmente l’abbondante terapia diuretica somministrata nei giorni precedenti il ricovero in Terapia Intensiva ha indotto uno stato di disidratazione. E’ stato fatto quindi un carico di fluidi che ha effettivamente aumentato la portata cardiaca e consentito di sospendere il vasocostrittore. Conclusione: non si è utilizzata la SVR per guidare il trattamento o avere informazioni emodinamicamente utili.


Come possiamo constatare dalla rapida analisi delle più disparate condizioni cliniche, la SVR non ha in realtà un ruolo nella gestione emodinamica dei pazienti con alterazioni cardiocircolatorie.


Conclusioni

Alla fine del post, come sempre i punti salienti:

- la resistenza vascolare sistemica non è una misura diretta ma un valore calcolato dal rapporto (PAM-PVC)/CO, derivato dall’applicazione dell’equazione di Poiseuille all’apparato cardiovascolare;

- il calcolo della resistenza vascolare sistemica non ha un valido fondamento fisiopatologico per almeno due motivi: 1) l’apparato cardiovascolare non ha nessuna delle caratteristiche necessarie per rendere applicabile l’equazione di Poiseuille (flusso costante e laminare in un condotto rigido a sezione circolare); 2) non tiene conto della discontinuità pressoria tra la parte arteriosa e quella venosa. Sistema arterioso e venoso, almeno in termini concettuali, dovrebbero essere considerati come due sistemi emodinamici separati;

- la valutazione della resistenza vascolare sistemica, anche forzandone l’uso a dispetto dei suddetti limiti concettuali, non offre informazioni cliniche utili per la valutazione clinico-emodinamica o per guidare la terapia;

- una valutazione emodinamica in grado di fornire il valore di resistenza vascolare sistemica deve misurare la portata cardiaca. Il monitoraggio emodinamico volumetrico o pressometrico offrono dati peculiari che, a differenza della resistenza vascolare sistemica, possono essere fondamentali per gestire il supporto emodinamico.


Con questo post ho semplicemente voluto condividere la mia visione sulla resistenza vascolare sistemica e spiegare perché non la utilizzo nella mia attività clinica. Ovviamente rispetto le abitudini e le argomentazioni di tutti. Se sei abituato ad utilizzare la SVR e preferisci continuare a farlo, spero che almeno questa lettura ti abbia offerto spunti di riflessione utili per inserirla criticamente nella cura dei pazienti.  

Se sei interessato al monitoraggio e supporto emodinamico, ti ricordo che il 6-7 giugno 2025 faremo a Palermo il Corso di Emodinamica (clicca qui per ulteriori informazioni). 

Concludo con una citazione, sempre più attuale, del dottor Paul Wood: “Corriamo il rischio di perdere il nostro patrimonio clinico e di riporre troppa fiducia nei numeri emessi dalle macchine. La medicina ne soffrirà se questa tendenza non verrà fermata". (10)

Infine, se vuoi sentire una magistrale lezione sul polso venoso giugulare dalla viva voce del dott. Wood (e intravederlo nel video), clicca qui. Un esempio di come l’attenta, metodica, intelligente osservazione clinica, unita ad una profonda cultura medica, possa essere alla base delle nostre conoscenze. Non meno dei trial randomizzati e controllati...

Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.


Bibliografia

1. Wood P. Pulmonary hypertension with special reference to the vasoconstrictive factor. Heart 1958;20:557–570.

2. Cattermole GN, Leung PYM, Ho GYL, Lau PWS, Chan CPY, Chan SSW, et al. The normal ranges of cardiovascular parameters measured using the ultrasonic cardiac output monitor. Physiol Rep 2017;5:e13195.

3. Pontiga F, Gaytán SP. An experimental approach to the fundamental principles of hemodynamics. Adv Physiol Educ 2005;29:165–171.

4. Guyton AC, Lindsey AW, Kaufmann BN. Effect of Mean Circulatory Filling Pressure and Other Peripheral Circulatory Factors on Cardiac Output. Am J Physiol-Leg Content 1955;180:463–468.

5. Liu Z, Pan C, Liu J, Liu H, Xie H. Esmolol response in septic shock patients in relation to vascular waterfall phenomenon measured by critical closure pressure and mean systemic filling pressure: a prospective observational study. J Intensive Care 2022;10:1.

6. Chemla D, Lau EMT, Hervé P, Millasseau S, Brahimi M, Zhu K, et al. Influence of critical closing pressure on systemic vascular resistance and total arterial compliance: A clinical invasive study. Arch Cardiovasc Dis 2017;110:659–666.

7. Kottenberg-Assenmacher E, Aleksic I, Eckholt M, Lehmann N, Peters J. Critical closing pressure as the arterial downstream pressure with the heart beating and during circulatory arrest: Anesthesiology 2009;110:370–379.

8. Girling F. Critical closing pressure and venous pressure. Am J Physiol 1952;171:204–207.

9. Maas JJ, de Wilde RB, Aarts LP, Pinsky MR, Jansen JR. Determination of vascular waterfall phenomenon by bedside measurement of mean systemic filling pressure and critical closing pressure in the intensive care unit: Anesth Analg 2012;114:803–810.

10. Somerville; J, Sleight P. The master’s legacy: the first Paul Wood lecture Commentary. Heart 1998;80:612–619.


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Ventilazioni pressometriche a target di volume: cosa sono, quando usarle, quando evitarle, come impostarle.

16 feb 2025

Le ventilazioni pressometriche a target di volume sono, come dice lo stesso nome, ventilazioni pressometriche, cioè con pressione costante e flusso decrescente durante l’inspirazione (se il paziente è sufficientemente passivo). A differenza delle usuali ventilazioni pressometriche si imposta un obiettivo (target) di volume corrente a cui il ventilatore deve tendere e non la pressione da applicare durante l'inspirazione (figura 1), che è decisa dal ventilatore valutando il volume corrente ottenuto e la pressione inspiratoria applicata nell’inspirazione precedente.
Figura 1

Come spesso accade, i ventilatori meccanici di differenti marche ci complicano la vita utilizzando nomi differenti per identificare modalità di ventilazione uguali. Di solito la denominazione di una ventilazione pressometrica a target di volume contiene il termine “volume”  (ad esempio “volume garantito” o “volume target”) oppure “adattativo” o “autoflow”. Per sapere quale è la denominazione sul ventilatore che stai utilizzando, prova le ventilazioni in cui devi impostare un volume e guarda la forma di pressione e flusso inspiratori: se sono quelli tipici di una pressometrica, hai individuato le ventilazioni pressometriche a target di volume.

Le 3 modalità di ventilazione pressometrica a target di volume

Le 3 principali modalità di ventilazione pressometrica (pressione controllata, pressione di supporto e SIMV) hanno la corrispondente modalità pressometrica a target di volume:
  • Pressione controllata a target di volumeoltre al volume target devi impostare il tempo inspiratorio (o il rapporto I:E) e la frequenza respiratoria. E’ quindi una ventilazione ciclata a tempo (l’inspirazione finisce quando è completato il tempo inspiratorio impostato), in cui il paziente ha la possibilità di aumentare la frequenza respiratoria attivando il trigger.
  • Pressione di supporto a target di volume: oltre al volume target devi impostare la percentuale del trigger espiratorio (anch’esso ha denominazioni differenti nei diversi ventilatori, ma è facilmente identificabile perché è espresso in percentuale) ma mancano l’impostazione del tempo inspiratorio, del rapporto I:E e della frequenza respiratoria (possono essere presenti per l’impostazione dell’eventuale ventilazione di backup che si attiverebbe se il paziente dovesse avere un periodo di apnea). Il trigger espiratorio definisce la percentuale di flusso inspiratorio (rispetto al suo picco) al quale in ventilatore cicla, cioè termina l’inspirazione per passare all’espirazione. (puoi vedere anche i post del 22/05/2011 e del 27/12/2017). 
  • SIMV a target di volume: si impostano gli atti mandatori come nella pressione controllata a target di volume e gli atti spontanei vengono erogati in CPAP o con una tradizionale pressione di supporto.

Come il ventilatore ricerca la pressione inspiratoria appropriata.

Quando il ventilatore eroga il primo atto respiratorio in una ventilazione pressometrica a target di volume non ha la più pallida idea di quanta pressione sia necessaria per ottenere il volume target. Esistono due diverse strategie per far iniziare una ventilazione pressometrica a target di volume:
  1. il primo atto respiratorio è erogato con ventilazione volumetrica tradizionale, il ventilatore misura la pressione di plateau e dal secondo atto respiratorio inizia la ventilazione pressometrica con una pressione inspiratoria pari al valore della pressione di plateau (figura 2). Solitamente questo approccio è utilizzato per le ventilazioni ciclate a tempo.
  2. il primo atto inizia già in ventilazione pressometrica con una pressione prefissata (in molti ventilatori 5 cmH2O). Questo è il modo tipicamente utilizzato nelle ventilazioni ciclate a flusso.
Figura 2

Dopo il primo respiro in pressometrica, il ventilatore applica in ciascun respiro una pressione inspiratoria condizionata dal volume corrente ottenuto nel respiro precedente: applica la stessa pressione del respiro precedente se il volume corrente realmente erogato è stato uguale a quello target, una pressione inspiratoria più elevata se il volume corrente è stato inferiore a quello target, una pressione inspiratoria inferiore se il volume corrente è stato superiore a quello target.

Nel post precedente ti ho chiesto perchè l’ultimo volume corrente era inferiore al penultimo nonostante una pressione inspiratoria leggermente superiore. Ti ripropongo di seguito l'immagine.

Figura 3
Nelle ventilazioni pressometriche questo accade se si riduce l'attività inspiratoria del paziente. Nella figura 4 ho riprodotto e sovrapposto il flusso inspiratorio dei due atti inspiratori che stiamo considerando.

Figura 4
Si vede che in questo caso la riduzione del flusso (e quindi del volume corrente, che è definito dall’area sotto la curva di flusso) non è dovuta ad una riduzione dell’intensità dello sforzo inspiratorio del paziente sull’ultimo respiro (il picco di flusso inspiratorio è uguale in questi due respiratori), ma ad una minor durata del suo sforzo inspiratorio. Il flusso inspiratorio si riduce più precocemente, l’inspirazione si accorcia e di consguenza il volume si riduce. La variabilità del tempo inspiratorio è tipica delle ventilazioni ciclate a flusso. Il ventilatore reagirà nei respiri successivi con un incremento della pressione inspiratoria per cercare di mantenere il volume espirato al valore del volume target.

Ventilazione a target di pressione: quando è indifferente, quando può essere utile e quando dannosa

Come qualsiasi modalità di ventilazione, una ventilazione pressometrica a target di volume non è “a priori” buona o cattiva, ma può avere vantaggi o svantaggi che dipendono dagli obiettivi clinici, dall’impostazione e dalla interazione con il paziente.
 

Quando è indifferente.

Nei pazienti passivi in ventilazione controllata la ventilazione pressometrica a target di volume ha lo stesso effetto di una ventilazione a volume controllato: garantisce cioè un volume corrente costante adeguando la pressione inspiratoria.
A volte vengono percepiti poteri miracolosi rispetto al volume controllato, ma l’unica differenza è la forma delle curve di pressione e flusso. E’ la forma del flusso che fa determina, per lo stesso volume corrente, una minor pressione di picco a parità di pressione di plateau (figura 5) (vedi anche post del 27/11/2011)
Figura 5
Ricordiamo che la pressione di picco è la pressione raggiunta a fine inspirazione nel ventilatore, mentre la pressione di plateau è quella raggiunta nei polmoni, ed è quindi quella su cui normalmente valutare l'impatto della ventilazione sul paziente.
Premessa l'assenza di differenze sostanziali, personalmente nel paziente passivo preferisco il volume controllato alla pressometrica a target di volume. La ventilazione volumetrica offre dinamicamente più informazioni quantitative su pressione elastica e resistiva. Inoltre la ventilazione a volume controllato consente di decidere la durata del tempo di insufflazione e del tempo di pausa, che nelle ventilazioni pressometriche dipende dalla costante di tempo ed è quindi fuori dal nostro controllo (vedi post del 05/02/2014). Non entro nel dettaglio di quest’ultimo punto, perché si aprirebbe un nuovo ampio capitolo.

Quando può essere utile.

Nei pazienti in ventilazione assistita con segni di attività inspiratoria, una ventilazione a target di volume consente una ripartizione variabile del lavoro respiratorio tra paziente e ventilatore: nei momenti in cui il paziente è più attivo, il ventilatore riduce la pressione inspiratoria erogata, consentendo una maggiore attività dei muscoli respiratori. Se il paziente diventa meno attivo (cioè i muscoli respiratori sviluppano meno pressione) per affaticamento o riduzione del drive respiratorio (ad esempio durante il sonno), il ventilatore incrementa la pressione erogata, lascia che i muscoli respiratori si riposino. In queste condizioni il paziente dovrebbe mantenere sempre un’attività dei muscoli respiratori proporzionale alle proprie capacità e necessità, riducendo il rischio di disfunzione diaframmatica.
Il gioco che abbiamo descritto può essere virtuoso se il paziente mantiene 
un’adeguata attività dei muscoli respiratori per la maggior parte della giornata, escludendo le ore di sonno. Questa condizione può essere identificata
 da alcuni segni rilevabili dal monitoraggio grafico (figura 6) associati alla valutazione clinica:

Figura 6
  • trigger inspiratorio visibile come una riduzione della pressione delle vie aeree che precede l'inspirazione
  • profilo della forma di flusso inspiratorio con concavità verso il basso (flow index > 1) (vedi post del 05/04/2023)
  • P0.1, spesso misurata dal ventilatore, tra 1 e 3 cmH2O (vedi post del 27/06/2021)
  • se è possibile fare una breve occlusione di fine espirazione, al primo tentativo di inspirazione contro le vie aeree occluse rilevare una riduzione della pressione delle vie aeree rispetto alla PEEP totale (ΔPocc) tra 6-7 e 13-14 cmH2O (corrispondente approssimativamente ad una pressione sviluppata dai muscoli respiratori tra 5 e 10 cmH2O, parleremo più estesamente di questo in uno dei prossimi post)
  • assenza di dispnea, attivazione dei muscoli accessori della ventilazione o asincronia inspiratoria torace-addome.

Quando può essere dannosa

Il grande rischio delle ventilazioni pressometriche a target di volume è il paziente debole e/o con ridotto drive respiratorio, che si accontenta anche di un basso volume target, si lascia mettere facilmente a riposo i muscoli respiratori ed in questo modo diventa sempre più debole ed asservito al ventilatore. Per fortuna spesso lo si può riconoscere facilmente al monitoraggio grafico (figura 7):

Figura 7

Vedi anche tu l’assenza dei segni di attività respiratoria che abbiamo invece visto nella figura 6? Riconosci l’assenza di un evidente segno di triggeraggio ed un flow index qualitativamente prossimo a 1 (decadimento lineare del flusso inspiratorio)?
Nella figura 8 ti ripropongo l’immagine con evidenziati questi elementi: Puoi vedere anche il monitoraggio della pressione esofagea, che mostra oscillazioni di circa 1 cmH2O attribuibili principalmente all’attività cardiaca, causa dell’autociclaggio.

Figura 8


Come impostare il volume target

Il volume target deve essere impostato con due obiettivi: 1) garantire il volume corrente minimo
2) mantenere un adeguato sforzo inspiratorio.
Similmente al “pressure support trial” (vedi post del 19/01/2024), si può fare un “target volume trial”. Lo scopo di questa procedura è trovare un volume corrente che non sia troppo elevato da ridurre eccessivamente l’attività dei muscoli respiratori, ma nemmeno troppo piccolo da lasciare un carico di lavoro eccessivo.
Spieghiamo questo approccio con un esempio, nel quale abbiamo valutato l’effetto di diversi volumi target impostati, ciascuno per pochi minuti, su un paziente tracheotomizzato con il peso ideale di 68 kg ed una PEEP di 5 cmH2O. Di seguito puoi vedere l’effetto di alcuni volumi target testati.
Abbiamo iniziato valutando l’effetto di un volume target molto piccolo (280 ml, cioè 4 ml/kg di peso ideale) (figura 9).
Figura 9

Vediamo che il ventilatore applica una pressione inspiratoria di 8 cmH2O di pressione. I
l brusco picco di pressione a fine inspirazione, che è attribuibile al rilasciamento dei muscoli respiratori, non è stato considerato come una pressione erogata dal ventilatore. Vediamo che la riduzione inspiratoria della pressione esofagea (la seconda traccia) è di 15 cmH2O (da 4 a -11 cmH2O), un dato che sottostima di un paio di cmH2O la pressione sviluppata dai muscoli respiratori. Osserviamo quindi un’intensa attività muscolare, che, anche senza la misurazione della pressione esofagea, possiamo facilmente intuire dalla forma sinusoidale del flusso, tipica dei soggetti in respiro spontaneo.
E’ interessante notare che il volume corrente è 448 ml, decisamente superiore al volume target. Il paziente vuole un volume maggiore del volume target è lo ottiene con il proprio sforzo inspiratorio. Il ventilatore, essendo superato il volume target dal volume corrente realmente erogato, non interviene aggiungendo pressione inspiratoria, se non i 3 cmH2O sopra PEEP che questo ventilatore eroga come minimo in questa modalità di ventilazione.

Quando abbiamo impostato un volume target di 480 ml/kg  (7 ml/kg) (figura 10), simile a quello ottenuto dal paziente praticamente da solo nel caso precedente, si osservano due cose importanti: 1) il volume corrente realmente erogato è simile a quello target e 2) il paziente rimane attivo

Figura 10
La contemporanea presenza di questi due segni significa che siamo entrati in un range di volume corrente e supporto inspiratorio ragionevoli rispetto al drive respiratorio. Per valutare se l’attività dei muscoli respiratori sia adeguata possiamo affidarci ai segni che abbiamo discusso in precedenza (rivedi le figure 6 e 8): il paziente è attivo sia sul triggeraggio che sul flusso inspiratorio. Le variazioni inspiratorie della pressione esofagea sono mediamente attorno a 11 cmH2O, con un decadimento espiratorio della pressione esofagea che suggerisce un’espirazione passiva. Da questi dati si ricava l’idea che il paziente è sottoposto ad un carico di lavoro elevato ma sostenibile
Saltiamo qualche step e vediamo nella figura 11 cosa è successo quando siamo arrivati a un volume target di 680 ml (10 ml/kg).
Figura 11

Vediamo dalla curva di flusso con concavità verso il basso nella sua parte iniziale e dalla evidente presenza di triggeraggio che il paziente rimane attivo. La variazione inspiratoria di pressione esofagea è 6 cmH2O e si vede ancor più pronunciato il suo decadimento durante l’espirazione, segno di una espirazione sempre più passiva. Abbiamo raggiunto una condizione di massimo supporto (relativamente al drive respiratorio) con un'attività inspiratoria quasi fisiologica.
Proseguiamo nell’incremento del volume target per vedere se esiste un volume di riposo. Questo è stato ottenuto con l’impostazione di un volume target di 750 ml (11 ml/kg).
Figura 12
Il paziente diviene totalmente passivo, non triggera più l’inspirazione ed il flusso inspiratorio si riduce linearmente. La pressione esofagea aumenta durante l’inspirazione (da 2 a 7 cmH2O), come accade nelle insufflazioni a paziente passivo.

Dopo questo “target volume trial”, che volume target dovremmo quindi scegliere? Dato che 7 ml/kg sono il minimo ragionevole (mantengono un'elevata attività dei muscoli respiratori) e 10 ml/kg il massimo ragionevole (carico fisiologico dei muscoli respiratori, che si annulla aumentando ulteriormente il volume), una scelta di 8-9 ml/kg 
di peso ideale (cioè circa 550-600 ml) sembra la più ragionevole. In particolare questo paziente aveva una compliance dell’apparato respiratorio di crica 50 ml/cmH2O, che equivale ad una driving pressure di 11-12 cmH2O per un volume corrente di 550-600 ml, scelta comunque accettabile anche in termini di stress tidal.

Conclusioni.

Come sempre riassumiamo i messaggi principali di questo lungo post.
Le ventilazioni pressometriche a target di volume:
- applicano una pressione costante durante l’inspirazione. A differenza delle tradizionali ventilazioni pressometriche, il livello di pressione da applicare non è impostato sul ventilatore ma è adeguato dinamicamente per ottenere un volume corrente uguale al volume target;
- possono essere ciclate a tempo (come le controllate o assistite/controllate) oppure ciclate a flusso (come la pressione di supporto)
- non hanno significativi vantaggi nei pazienti passivi rispetto al volume controllato
- possono essere utili nei pazienti attivi con sufficiente forza dei muscoli respiratori
- possono essere dannose nei pazienti deboli o con basso drive respiratorio perchè ne facilitano la passività
- devono essere impostate con un volume target ragionevole, che può essere scelto valutando l’attività del paziente a diversi livelli di volume target (“target volume trial”).

Complimenti a chi è arrivato in fondo a questo post, non era facile!

Come sempre un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

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Dall'analisi del monitoraggio all'impostazione della ventilazione meccanica ovvero dalla pratica alla teoria

10 gen 2025

Dopo 7 mesi di silenzio, ventilab ritorna con un nuovo post, che non casualmente pubblico oggi, giorno del 15° compleanno di ventilab: il 10 gennaio 2010 veniva pubblicato il primo post ed in pochi mesi, inaspettatamente, è iniziata una sempre crescente attenzione alle nostre attività. Saluto e ringrazio le migliaia di persone che costantemente seguono il blog ed i nostri corsi: grazie!

A breve sarà aggiornata anche la pagina dei corsi 2025, che anticipo saranno in numero ridotto rispetto agli ultimi anni. Come sempre, gli iscritti alla mailing list ne riceveranno comunicazione in anteprima (se hai ricevuto un avviso per la pubblicazione di questo post significa che sei già iscritto).

Entriamo ora nel merito del post di oggi. Nella figura 1 puoi vedere le curve del monitoraggio grafico di un ventilatore meccanico. Dalla loro analisi capiremo insieme come riconoscere la modalità di ventilazione utilizzata e la sua impostazione. Se vuoi puoi ora provare da solo e poi riprendere a leggere il post.

Figura 1

Questo viaggio a ritroso dalla pratica alla teoria è un esercizio fondamentale per tutti coloro che utilizzano la ventilazione meccanica perché addestra concretamente a due aspetti fondamentali:

- la conoscenza dei principi di funzionamento delle modalità di ventilazione;

- la comprensione dell’interazione paziente-ventilatore.

Credo sia evidente come queste capacità siano alla base di una scelta corretta della modalità di ventilazione e della sua impostazione.

Inizialmente può sembrare difficile raggiungere questo livello di competenza, ma in realtà ci si può arrivare con lo studio, l’esercizio e la perseveranza. Tra i nostri corsi, “Le modalità di ventilazione meccanica” e “Le curve della ventilazione meccanica” possono sicuramente essere di aiuto.

Procediamo ora nell’analisi. 

Identificare la modalità di ventilazione

Per identificare la modalità di ventilazione meccanica questo dobbiamo analizzare 3 elementi fondamentali:

- la traccia che guida la ventilazione

- i livelli di pressione inspiratoria

- il criterio di ciclaggio


    La traccia che guida la ventilazione

Quando impostiamo la ventilazione meccanica diamo di fatto al ventilatore uno tra questi due comandi principali:

- che pressione applicare. Se il comando principale è questo la ventilazione è pressometrica.

oppure 

- che flusso erogare. Se il comando principale è questo la ventilazione è volumetrica (il volume è una traccia derivata dal flusso e pertanto è secondario ad esso).

Il comando principale è facilmente riconoscibile dal monitoraggio grafico, mentre possono essere ingannevoli i parametri impostati (ad esempio impostare un volume non equivale a fare una ventilazione volumetrica). In prima istanza possiamo identificare come comando principale come la traccia cha mantiene un valore costante durante l'inspirazione.

Le ventilazioni pressometriche hanno una pressione inspiratoria costante (che dipende dall’impostazione e dall’efficienza del ventilatore) ed un’onda di flusso inspiratorio che diventa decrescente dopo un picco iniziale (che dipende da compliance, resistenze ed attività inspiratoria del paziente). 

Le ventilazioni volumetriche solitamente (ma non sempre) hanno costante il flusso inspiratorio e crescente la pressione inspiratoria.

Appare evidente evidente che nel nostro caso abbiamo a che fare con una ventilazione pressometrica (figura 2).

Figura 2

    

    I livelli di pressione inspiratoria

Nella figura 3 puoi vedere i livelli di pressione applicata per ciascuna inspirazione, oltre alla pressione mantenuta durante l'espirazione (positive end-expiratory pressure, PEEP) di 5 cmH2O.

Figura 3

Nelle ventilazioni pressometriche le pressioni inspiratorie possono avere tre dinamiche diverse:

- le pressioni inspiratorie sono tutte uguali (figura 4): siamo in una ventilazione pressometrica “tradizionale” (ad esempio pressione controllata o pressione di supporto). Non ha questa caratteristica il caso che stiamo analizzando, che presenta una variabilità delle pressioni inspiratorie.

Figura 4

- vi sono due diversi livelli di pressione inspiratoria, che si alternano con regolarità (figura 5). Questo si verifica nella SIMV o nella BIPAP con una pressione di supporto inspiratorio. In queste modalità si possono infatti impostare un livello di pressione pressione per gli atti mandatori (che seguono la frequenza respiratoria impostata, linea rossa) ed un livello di pressione per gli atti assistiti (che segue una frequenza ad esclusivo controllo da parte del paziente, linea grigia). Anche questo non è il nostro caso, dal momento che ci sono più di due livelli di pressione inspiratori ed in più non si osserva una ritmica alternanza dei livelli applicati.

Figura 5

- le pressioni inspiratorie variano senza la ritmica alternanza tra due pressioni. Talora si può cogliere una tendenza all’aumento o alla riduzione della pressione delle vie aeree. E’ questo il nostro caso (figura 3). Questo accade solo se facciamo una ventilazione in cui non si imposta la pressione inspiratoria ed è tipico delle ventilazioni pressometriche a target di volume, cioè ventilazioni pressometriche (pressione costante e flusso decrescente) nelle quali si imposta un obiettivo di volume corrente, lasciando al ventilatore la ricerca, respiro per respiro, del livello di pressione da applicare per ottenere il volume corrente target.

    

    Il criterio di ciclaggio

Le ventilazioni pressometriche possono “ciclare” (cioè passare dall’inspirazione all’espirazione) in due modi: dopo il termine del tempo inspiratorio che è stato impostato (ciclate a tempo) oppure dopo il raggiungimento di un valore critico di flusso inspiratorio (ciclate a flusso). La pressione di supporto è l’unica modalità di ventilazione ciclata a flusso, tutte le altre ventilazioni pressometriche sono ciclate a tempo. 

Nel ciclaggio a tempo il tempo di applicazione della pressione di insufflazione, che corrisponde al tempo inspiratorio (TI) impostato sul ventilatore, è uguale in tutti gli atti respiratori (figura 6, freccia orizzontale rossa). 

Durante il tempo di applicazione della pressione inspiratoria, il ciclaggio a tempo consente che il flusso possa azzerarsi (generando una pausa di fine inspirazione, come evidenziato dai cerchi nel pannello di sinistra della figura 6) o anche diventare negativo (iniziando un’espirazione durante il tempo inspiratorio, come evidenziato dai cerchi nel pannello di destra della figura 6). 

Figura 6

Se il ciclaggio è a flusso invece la durata del tempo di pressione inspiratoria può essere variabile da respiro a respiro (non esiste un tempo inspiratorio predeterminato) e non ci possono essere momenti di flusso zero o negativo nella parte finale del periodo di pressione inspiratoria. Questo è il caso del nostro paziente (figura 7) e possiamo quindi concludere che egli sta ricevendo una pressione di supporto a target di volume.

Figura 7

Prevedere l’impostazione del ventilatore.

Prima di mostrare il pannello di impostazione, vediamo quanto correttamente riusciamo a ricavare i parametri impostati dall’osservazione del monitoraggio.

    

    Volume target.

Abbiamo identificato una pressione di supporto a target di volume. Il volume target è sicuramente il comando principale: come possiamo capire a che valore che è stato impostato? Analizziamo la figura 8, dettaglio della figura 1, nella quale sono riportate le misure (rilevate con il cursore del ventilatore) delle pressioni applicate e dei volumi correnti espiratori.

Figura 8
La pressione inspiratoria aumenta respira dopo respiro, segno che il volume corrente erogato è sempre inferiore il volume corrente target. Questo implica che anche il volume corrente del penultimo respiro (409 ml) è inferiore al volume target (altrimenti la pressione inspiratoria non aumenterebbe nel successivo). L'incremento di pressione dell'ultimo respiro è solo 1 cmH2O, facendo supporre che il volume target non sia superiore di molto. Non possiamo risalire con precisione al volume target perché non è stata raggiunta una stabilità della pressione applicata e del volume erogato, ma possiamo comunque sapere che questo sarà un po’ più alto del penultimo volume espiratorio misurato (409 ml).

Hai notato che l’ultimo volume corrente è inferiore al penultimo nonostante una maggior pressione inspiratoria? Perchè? Questo lo analizzeremo nel prossimo post.

    

    PEEP

La PEEP è 5 cmH2O come già evidenziato nella figura 3. 

    

    Impostazione del ciclaggio

Il trigger espiratorio è il comando che cicla il ventilatore dall'inspirazione all'espirazione quando il flusso inspiratorio raggiunge la percentuale impostata rispetto al picco di flusso. La figura 9 chiarisce il concetto. La traccia di flusso degli ultimi due respiri consente di vedere bene sia il picco di flusso che il punto in cui il flusso inspiratorio smette di decrescere gradualmente per scendere perpendicolarmente verso lo 0 (punto di ciclaggio del ventilatore). In questo caso entrambi i respiri hanno i medesimi picco di flusso (68 l/min) e flusso al ciclaggio (7 l/min). Il trigger espiratorio è il rapporto tra il flusso al ciclaggio ed il picco di flusso, in questo caso 7 / 68 = 0.102 = 10.2%. E’ quindi abbastanza facile prevedere che il trigger espiratorio sia stato impostato al 10%.

Figura 9

    

    Rampa

La rampa è il tempo che una ventilazione pressometrica impiega a da quando inizia ad aumentare al raggiungimento del valore di pressione inspiratoria. Nella figura 10 è indicato graficamente per due respiri e corrisponde all’intervello di tempo tra le due linee bianche tratteggiate verticali.

Figura 10

In entrambi i casi la misurazione dà il valore di 0.6 s, che equivalgono a 60 ms. Questo è il valore di rampa misurato in maniera approssimativa perchè le misure di intervalli di tempo così piccoli sono spesse imprecise. Qualora non fosse possibile misurare questo intervallo con il cursore del ventilatore (molti ventilatori non danno la misura del tempo), può essere più che sufficiente una stima "a occhio" grossolana per capire se la rampa è veloce o lenta.

Dalla lettura del monitoraggio abbiamo quindi intuito che la pressione di supporto a target di volume dovrebbe avere volume target superiore (non di molto) a 410 ml, PEEP 5 cmH2O, trigger espiratorio 10% e rampa 60 ms. Vediamo ora come era  effettivamente impostato il ventilatore (il trigger espiratorio viene indicato come “ETS”):

Figura 11

Conclusioni

Dall’analisi del monitoraggio grafico è possibile identificare la modalità di ventilazione e la sua impostazione.

Per fare questo abbiamo analizzato 7 elementi:

1) la traccia che guida (quella con l'onda quadra) la ventilazione per capire se la ventilazione è volumetrica o pressometrica

2) i livelli di pressione inspiratoria per trovare la "famiglia" di modalità di ventilazione pressometrica

3) il criterio di ciclaggio per definire con precisione la modalità

4) pressione applicata e volume corrente per capire l'impostazione di volume target (se le pressioni inspiratorie sono diverse tra loro) o della pressione inspiratoria

5) la pressione espiratoria per definire la PEEP

6) il rapporto flusso al ciclaggio picco di flusso per individuare il trigger espiratorio, cioè l'impostazione del ciclaggio. Nelle ventilazioni ciclate a tempo si deve misurare il tempo di insufflazione per capire l'impostazione del tempo inspiratorio

7) la velocità di salita della pressione inspiratoria per stimare la rampa.

Con lo studio delle modalità di ventilazione e dell’interpretazione del monitoraggio grafico, dopo un adeguato periodo di pratica quotidiana, si riesce a vedere sul monitoraggio tutto ciò che abbiamo impostato al paziente e se questo è adeguato alle sue necessità ed ai nostri obiettivi clinici. Ed ogni cambio di modalità di ventilazione e/o impostazione del ventilatore sarà un processo consapevole e ragionato.

Nel prossimo post approfondiremo la conoscenza della pressione di supporto a target di volume: come funziona, quando può essere utile e quando invece è meglio evitarla, con che criterio impostarla.

Buon 2025 ed un sorriso a tutti gli amici di ventilab.

 

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